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Calcio

Abruzzo terra di campioni: Franco Tancredi, il più grande portiere giallorosso

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Roma, uno scudetto, 4 coppe Italia, la maledetta finale con il Liverpool.

28 gennaio 1979, Roma- Verona, il giovane Franco sostituisce Conti nell’intervallo, fa il suo esordio colui che diventerà il più grande portiere della storia romanista. Complice il periodo nero del titolare, Tancredi viene promosso numero 1 della squadra di Liedholm, collezionando, dal 27 aprile 1980 al 29 gennaio 1989, 258 presenze consecutive nella massima serie, secondo al solo Zoff nella classifica d’ogni tempo.

1,76 d’altezza, si parla spesso di lui come di un piccolo, grande portiere per l’esplosività, la freddezza dimostrata tra i pali. Tutto vero. Specialista nel parar rigori, entra dalla porta principale, lui portiere, nel cuore dei tifosi romanisti in occasione della finale di Coppa Italia 1980: Olimpico, gara unica, lo sfidante è il Toro, la squadra con la quale terminerà la carriera nel 1991. Calci di rigore, i granata sono in vantaggio per due a uno, Terraneo neutralizza De Nadai, Tancredi vanifica il penalty di Greco: primo boato per il portiere giuliese, un ooooh di sollievo zampilla di bocca in bocca sugli spalti. Di Bartolomei si presenta sul dischetto, conclusione forte e centrale, Terraneo respinge.

Punto e a capo.

Graziani si incammina verso il dischetto, sistema la palla, indietreggia. Rincorsa, destro, alto.

La Roma è in corsa.

Santarini realizza, Pecci ha sul destro l’ultimo, decisivo rigore. Solito rituale, rincorsa lunga, Tancredi blocca, l’Olimpico esplode. Si procede ad oltranza. Ancelotti per la Roma e Zaccarelli per il Toro sono i primi della lista. Comincia il numero Dieci giallorosso, destro forte e centrale, la rete si gonfia, nuovo sussulto di gioia romanista.

Zaccarelli contro Tancredi, tensione, ansia, secondi interminabili. Il granata angola a sinistra, Tancredi respinge. Tancredi dice Roma.

Un anno dopo ancora Roma Torino, ancora rigori, Tancredi è glaciale su Pecci e Graziani, seconda Coppa Italia consecutiva.

1983, lo scudetto torna a tingersi dei colori giallorossi, Tancredi è tra gli splendidi protagonisti della storica cavalcata culminata con l’uno a uno, al Marassi, contro il Genoa.

30 maggio 1984, Roma e Liverpool si sfidano in un Olimpico gremito di passione per l’ambita Coppa dei Campioni. Inglesi in vantaggio, Pruzzo aggiusta le cose ad un tiro di schioppo dal termine del primo tempo. Tancredi neutralizza tutto quel che può, si va ai rigori.

La tensione aumenta, sarebbe tutto troppo bello per i giallorossi, vincere la prima Coppa dei Campioni, in casa, ai rigori. Tutto eccessivamente spasmodico, entusiasmante. Se qualcosa doveva andar storto, fosse capitata in un’altra occasione, ma non quella sera. Una città si era fermata, con il suo passo pesante, con i suoi riti, con la sua passione, come se la millenaria storia dell’Urbe fosse stata interrotta per centoventi interminabili minuti.

Il Liverpool inaugura la lotteria con Nicol: destro angolato, Tancredi intuisce, viene scavalcato, palla oltre la traversa, i decibel del tifo esplodono.

No, non può andare male.

Agostino Di Bartolomei è il primo dei capitolini. Rincorsa inesistente, destro esplosivo, tiro centrale, la Roma è in vantaggio. Neal realizza, Conti ha il compito di allungare, Grobbelaar ha già dato inizio alla raccapricciante danza, Conti conclude oltre la traversa. Parità. Souness e Righetti segnano. Rush spiazza Tancredi, Graziani si ingobbisce sul cuoio, non guarda altro se non quel pallone, quel maledetto pallone. Grobbelaar non si butta, la traversa risuona nell’aria afflitta, autolesionista, sventurata dell’Olimpico romanista. Kennedy segna. Fine di un sogno. Nella notte più importante, il destino è stato avverso, chi di solito sceglieva un angolo dal dischetto ha cambiato all’ultimo istante la propria routine per farne leggenda. I fantasmi aleggiano. Si può essere dei grandi portieri, ma non dei buoni anti rigori. Tancredi era entrambe le cose, anzi eccelleva nel respingere dagli undici metri, quando portiere ed attaccante parevano impersonare due attori di uno spaghetti western. Il gusto del pallone, infranto sul palmo della mano, è rimasto fermo, per sempre, a quella calda serata di fine primavera.

Luigi Della Penna, redazione@vasport.it

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