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ABRUZZO TERRA DI CAMPIONI: Juan Manuel Fangio, il primo re

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Terzo appuntamento incentrato sul campionissimo di Formula 1, vincitore di cinque campionati mondiali. 1956, l’approdo in Ferrari, l’inizio di un rapporto particolare tra il pilota e il Cavallino.

Prima di approdare a Maranello, abbiamo bisogno di un rocambolesco e tragico incipit, il disastro di Le Mans del 1955: al 34° giro Hawthorn, su Jaguar, si trovava al comando ed era pronto a doppiare Lance Macklin su Austin, dietro di loro Levegh e Fangio a capo di monoposto Mercedes.

Hawthorn aveva l’ordine di tornare ai box, quindi Macklin si fece da parte per consentirgli di adempiere agli ordini di scuderia.

Il fato aleggia sulle vite delle persone senza che queste abbiano la possibilità di prepararsi all’ineluttabile. Di lì a poco la storia delle corse cambiò, per sempre.

Le vetture si trovano sul rettilineo che immette ai box, accerchiati da ali di folla festante. Hawhtorn superò la Austin- Healey, ma strinse eccessivamente a destra, forse non rendendosi conto delle distanze, forse ancora per permettere allo stesso Fangio di superarlo, garantendo quell’alternanza di ruoli già proposta in corsa . Gara delle supposizioni. Le distanze erano brevi, la velocità alta. Hawthorn frenò per accedere ai box, Macklin tentò in ogni modo di rallentare, ma si rese conto dell’inutilità del gesto, ad una distanza così risicata, in pochi istanti.

Sterzò a sinistra, perse il controllo della vettura. Da dietro arrivavano, l’uno dietro l’altro, Pierre Levegh e Juan Manuel. L’impatto fu fatale. La Mercedes di Levegh impattò con la Austin di Macklin e prese letteralmente il volo, abbattendosi sulle barriere. In un momento il fuoco avvolse il rottame e alcuni pezzi schizzarono sulle tribune. Ad oggi rappresenta il peggior avvenimento luttuoso nella storia delle corse su quattro ruote. Pierre morì sul colpo. Fangio riuscì a schivare le vetture. Levegh, nell’estremo tentativo di avvisarlo, alzò il braccio. L’ultima istantanea prima del buio, del terrore d’un istante. Violento. Incancellabile.

La Mercedes lasciò quel mondo per farvi ritorno negli anni ottanta.

1956, Fangio approda a Maranello, la Ferrari rappresenta l’unica possibilità di vittoria immediata dopo l’addio della scuderia tedesca, ma i rapporti con Enzo Ferrari non furono idilliaci. Quello fu un anno duro per entrambi, sia per il campionissimo argentino, con padre, Loreto, nato a Castiglione Messer Marino, e madre, Erminia, originaria di Tornareccio, sia per il costruttore modenese: il 30 giugno trovò la morte il tanto amato figlio Dino. Probabilmente il rapporto non nacque nel migliore dei modi. Ai tempi Ferrari non usava pagare con un ingaggio i suoi fantini, ma instaurava un vero e proprio rapporto di mezzadria, con premi spartiti a metà, cosa che a Fangio non piacque affatto, facendo ben presente il suo disappunto, fino ad ottenere un salario mensile. Il Boss non approvava, sbeffeggiandolo.

Il Mondiale non inizia nel migliore dei modi, nonostante gli ottimi risultati. In Argentina si rompe un condotto dell’alimentazione, così Fangio è costretto a dover salire sulla vettura di Musso. Allora era permesso. Vinse.

A Montecarlo sbatte contro un muro, Collins gli presta la monoposto, rimonta 44 secondi a Moss, finisce secondo. Per completare l’opera, in quel periodo Collins emerge prepotentemente: è un inglese radicato nel cuore di Ferrari. Fangio entra in un vortice di depressione, finendo da un neurologo. Per aiutarlo, Ferrari gli concede un meccanico personale che si occupi esclusivamente della sua vettura. Fangio riemerge dal silenzio, torna ad entusiasmare, a vincere: primo in Inghilterra, primo al Nuerburgring.

Arriva il GP d’Italia, Monza. Gara decisiva per il titolo, colorata, però, di giallo, con Juan Manuel, Collins e Moss a dar battaglia: il gran premio ha inizio, le Ferrari di Castellotti e Musso imprimono un ritmo forsennato, ma accusano il logorio degli pneumatici. Moss, su Maserati, vola. Collins, secondo, insegue. Fangio, per problemi allo sterzo, si ferma. Collins potrebbe così tentar di diventare campione del mondo, ma dalla scuderia chiedono di lasciar spazio all’argentino. Le versioni sull’accaduto sono contrastanti. L’inglese, con un gesto di sportività estrema, lascia il posto a Fangio che con il secondo posto vinse il quarto mondiale della sua carriera. Collins dichiarò che se non avesse accettato avrebbe avuto comunque poche possibilità e sottolineò la sensatezza di quella scelta.

Brusii, polemiche. Il rapporto Ferrari-Fangio si esaurì in quel pomeriggio lombardo.

Cinque titoli mondiali, superato dal solo Schumacher nel 2003 ed eguagliato da Hamilton pochi mesi fa, Fangio possiede di diritto un posto nel pantheon dei grandi delle corse.

Il titolo “Il primo re” rappresenta un omaggio alla sua grandezza nell’aver incarnato lo spirito del primo mito assoluto nella storia della Formula 1 con prestazioni e record superati a diversi decenni di distanza dalle sue gesta da fantino su quatto ruote. Tanto basta.

Luigi Della Penna

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