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ABRUZZO TERRA DI CAMPIONI: Rocky Marciano, la poesia della concretezza

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Secondo capitolo della nostra rubrica. Abruzzese d’origine, si rivelò al mondo come uno dei più grandi pugili di sempre.

Siamo al crepuscolo degli anni quaranta, il mondo deve ancora terminare la conta dei martiri del conflitto mondiale, Stati Uniti e URSS hanno da poco dato inizio alla Guerra fredda, l’uomo torna a dividersi. Gli USA, usciti vincitori con le mani sporche, si apprestano a vivere un nuovo boom economico, ponendo le basi per il tanto copiato, in tutte le salse, modello americano. Lo sport è da sempre un punto nevralgico, involontariamente copre le coscienza, nel senso che gli appassionati tendono a mettere in secondo piano vicende più importanti se impegnati con i propri beniamini. Occorrono simboli per abbracciare la passione popolare. In questo clima nasce la stella di Rocky Marciano, al secolo Rocco Francis Marchegiano, classe 1923, di Brockton, Massachussetts. Il padre, Pierino, è originario di Ripa Teatina, mentre la madre, Pasqualina, proviene dal beneventano. Anni difficili, ma il piccolo Rocco non si tira indietro andando a lavorare come muratore, bisogna portare il pane a casa. Il suo sogno è diventare un giocatore di baseball, prova con i Chicago Cubs, ma viene scartato perchè il suo braccio destro viene giudicato inadatto, debole: se non come primo, rientra di diritto sul podio degli errori di valutazione d’ogni epoca nella storia dello sport perchè quell’arto diventerà uno dei più importanti e terrificanti nella storia della boxe, capace di distruggere la crema dei massimi degli anni cinquanta. Il ragazzo vive giorni d’angoscia, incredulità, spaesamento, non sa ancora quanto quell’avvenimento, da lì a breve, sia importante per la storia del pugilato.
La svolta avviene in un pub, un malcapitato australiano è il coprotagonista, la sceneggiatura entra nell’epica sportiva. E poi quel destro non è affatto male.
1947, ha inizio la leggenda.
E’ un peso massimo, ma non supera il metro e ottanta, è lento, tozzo, corto, ma è una macchina da guerra con guantoni: se Ali è stato farfalla nei movimenti, per la sua eleganza, ape per la decisione dei suoi colpi, Marciano a tratti pareva un moscone per la pesantezza che esprimeva. Ma abbiamo tralasciato un particolare, il suo destro, un vero e proprio sciame di vespe indomabili quando si scagliava sull’avversario, i suoi colpi rimbombavano nell’aria con un secco tum, tum, tum, quasi a voler distruggere fisicamente lo sfidante. Tempi di fame e stenti, interpreti a dir poco impressionanti per resistenza e potenza nei colpi.
Joe Jersey Walcott, Roland La Starza, Joe Louis, Archie Moore sono solo alcuni tra i nomi di spicco ad aver assaggiato la potenza del ” Brockton Blockbuster” (Il bombardiere di Brockton), sei volte campione del mondo, 49 vittorie su altrettanti match, 43 per k.o. Ispira film, fumetti, generazioni di appassionati, un gran numero di critici lo incorona ancora oggi come il miglior pugile di sempre, esaltandone la forza cannoneggiante, la capacità estrema di resistere a colpi terrificanti in un epoca che ha aperto la strada, mediaticamente, ad Ali, Frazier, Foreman, spalancando al mondo quel palcoscenico grondante emozioni, sangue e sudore quale è il ring in un match di boxe.


Il 21 settembre 1955 sfoga la sua arte, la sua poetica concretezza contro Archie Moore. E’ l’ultima volta. Dicono sia logoro e forse è vero.
Il 31 agosto del 1969, alla vigilia del suo quarantaseiesimo compleanno e in condizioni meteorologiche inadatte al volo, Rocky decide ugualmente di decollare a bordo di un aereo privato dall’Iowa per raggiungere la famiglia.
Non tornerà mai più a casa. L’aereo è vittima di una tempesta, sono attimi di terrore che nessuno dei passeggeri potrà mai raccontare.
Nessuno sopravvive. Il Mito non c’è più, il destino è passato alla storia come l’unica entità ad averlo battuto, di lui resteranno quell’andatura dinoccolata, quel destro spaventoso, la voglia di rivalsa, di aver potuto dire di contare qualcosa in questo piccolo strano mondo.


Luigi Della Penna

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