In biancorosso nel ‘99/2000 e quasi 350 presenze tra C1 e C2. Oggi si interessa di settori giovanili anche come formatore dell’Associazione Italiana Calciatori
Poco più che vent’enne allora, oggi a quarant’anni ha una maturità tale da poter formare e insegnare calcio alle generazioni future. Simone Berardi, oggi quarantenne, arrivò alla Pro Vasto nell’estate del 1999 insieme a Mirko Fasciani e Luca Cichella, il tris di giocatori arrivati dal Pescara nell’affare Ruscitti.
Un solo anno, tra l’altro chiuso con l’amara retrocessione dalla D all’Eccellenza ma Berardi, titolarissimo nello scacchiere di Anzivino, lo ricorda come “passaggio fondamentale della mia carriera”. Quella poi proseguita fino ai 33 anni infilando qualcosa come quasi 350 presenze tra C1 e C2 tra Nardò, San Marino, Paganese, Potenza e Latina senza dimenticare quella a Pergocrema prima di Vasto.
Dal 2013 ha detto basta (con una brevissima ma felice
esperienza a Borrello) con il calcio giocato, ha messo su una scuola calcio e
dal 2016 è entrato a far parte dell’Associazione Italiana Calciatori sempre
guardando alle scuole calcio del nostro Stivale.
Simone Berardi, ormai
da sette anni ti dedichi anima e corpo ai settori giovanili e dal 2016 questo
percorso ti ha portato a far parte dell’Associazione Italiana Calciatori, di
cosa ti occupi? “Un’avventura
stimolante, non sono solo, si lavora d’equipe, siamo ben ramificato sul
territorio nazionale. Io ho la visione su alcune scuole calcio a noi affiliate,
ci sono continui corsi di formazione, c’è contatto frequente con tutte queste
società. Il nostro compito è seguire e far crescere al meglio questi bambini,
pochi diventeranno calciatori ad alti livelli, non è facile ma tutti saranno
gli uomini del domani e noi cerchiamo di lavorare al meglio anche da quel punto
di vista”.
Spulciando sul tuo
profilo Facebook abbiamo scoperto che con l’Aic vi siete spinti parecchio
lontano, che esperienze sono state in Uganda e Giordania? “Un progetto nato dal forte volere di Simone
Perrotta (responsabile del dipartimento Junior Aic, ndr), qualcosa di bello lo
si era fatto anche in Italia ma tra Uganda e Giordania si sono toccate con mano
altre difficoltà capendo però che il calcio, e lo sport in generale, sono mezzi
fondamentali. Siamo stati a fare formazione in zone delicatissime dove ci sono
guerre dettate da divisioni di culture e religioni ma il calcio riporta a galla
certi valori. Sorrisi e abbracci ci hanno riempito il cuore, il calcio è
unione, un elemento importante per la crescita di un bambino”.
Esperienze di vita
indelebili e belle da ricordare ma riavvolgendo il nastro a vent’anni fa, da
calciatore, che ricordo hai della Pro Vasto? “Arrivavo in D dopo il mio primo anno in C2 a Pergocrema ma a Vasto ho
respirato l’aria del calcio vero. Dilettantismo solo sulla carta perché Vasto,
allora come oggi, aveva una storia calcistica importante. Una piazza affamata
di calcio che meriterebbe ben altre categorie”.
Ti è mai capitato di
tornare all’Aragona? “Da giocatore no
ma da allenatore sono tornato un paio d’anni fa per partecipare a un torneo
giovanile. Stadio fantastico, in quell’anno ricordo una Curva d’Avalos
spettacolare, era bello giocare con quell’atmosfera e anche fuori dal
rettangolo di gioco ho avuto la fortuna di conoscere persone splendide”.
1999/2000, che
stagione è stata? “Da laterale giocai
sia sulla linea difensiva che di centrocampo sulla corsia destra, mister
Anzivino mi diede grande fiducia. Mi trovai molto bene con tutti, in casa
andavamo anche discretamente, peccato per la retrocessione ma senza la
penalizzazione sono sicuro che ci saremmo salvati”.
Cosa ti ha lasciato
quella retrocessione? “Nel calcio
come nella vita non esistono solo le pagine felici, quell’annata è stata
difficile. Ne ho vissute anche altre nel corso della carriera ma soprattutto a
diciannove anni vivere certe difficoltà sono fondamentali per una crescita
personale”.
Con Anzivino in
quella stagione e poi nel 2015 a Borrello, che allenatore è stato per te? “Quella di Borrello è stata una felice
esperienze di tre mesi, bello vincere anche un campionato di Promozione. Ho
detto sì solo perché era arrivata la chiamata del mister, uno dei migliori
incrociati nella mia carriera. Un grande insegnante di calcio, nell’anno di
Vasto riusciva a trasmetterci la sua grande fame, attento su ogni dettaglio,
una figura squisita e trasparente”.
Parentesi di tre mesi a Borrello a parte perché hai deciso di dire basta al calcio giocato a 33 anni? “Dopo l’ultimo anno in D con il Palestrina nel 2013 avevo deciso di tornare a Pescara, fisicamente stavo bene, mi erano arrivate anche alcune proposte ma da sempre non mi sono mai piegato ad alcune dinamiche particolari. Ho sempre amato il calcio, faccio parte ancora di questo mondo con grandi motivazioni ma delle particolarità di questo contesto, da calciatore, non le ho mai digerite e ho preferito iniziare ad allenare”.
Antonio Del Borrello – antoniodelborrello@vasport.it