L’esperto difensore ciociaro, oggi a Latina, nella passata stagione fu investito del ruolo di capitano con l’arrivo di mister Papagni . Un anno fa i biancorossi centravano la salvezza
Quel pallone pesava, non solo per la pioggia scesa su Vasto quella domenica ma soprattutto per l’importante del match. Il 12 maggio di un anno fa Henri Shiba non ha avuto paura, si è incaricato di presentarsi dagli undici metri nella finale playout consegnando alla Vastese la salvezza al termine di una stagione travagliata, condita tra tanti bassi e pochi alti.
I ricordi restano, quelli nessuno li cancella, se i salti di categoria hanno un eco maggiore vanno ricordate anche le salvezze, soprattutto perché, detto chiaramente, se un anno fa all’Aragona avesse festeggiato l’Agnonese per i biancorossi sarebbe stato un dramma la retrocessione, magari staremmo qui a parlare non di Eccellenza ma di qualcosa sicuramente più tragico. A 365 giorni di distanza abbiamo ricordato quell’annata con Pietro Del Duca, uno dei leader della passata stagione.
L’esperto difensore ciociaro, in questa stagione visto con la maglia del Latina, con l’avvento (decisivo) di mister Papagni prese anche i gradi di capitano, ruolo che ha ricoperto con grande senso di appartenenza e responsabilità riuscendo alla fine a gioire, nonostante i tremolii delle ultime partite, insieme a tutti i compagni.
Pietro Del Duca, la
Serie D non ripartirà, che mesi sono per il calcio dilettantistico? “È scoppiata
una bomba che aveva ormai una miccia accesa già da tempo solo che fino a due
mesi e mezzo fa si faceva finta di niente. Ora il problema è sotto gli occhi di
tutti, le problematiche reali sono tante e stanno venendo a galla”.
Da esperto giocatore
di Serie D pensavate di avere un altro trattamento? “In questi mese si è capito molto di più, valiamo zero, a noi non pensa
nessuno, il mondo dilettantistico è vastissimo, ci vorrebbero più regole sicure
e invece per troppi anni hanno fatto finta di niente”.
Si parla di riformare
una volta per tutte il mondo dilettantistico, come si potrebbe agire? “Credo che la rifondazione dovrà partire dal
basso, siamo dilettanti solo sulla carta visto che ci alleniamo cinque giorni
su sette senza dimenticare la partita della domenica e i ritiri. Pensando a una
futura ripresa magari si potrebbero rivedere alcune situazioni sia geografiche
che in quanto al numero di allenamenti, ci sono tanti punti da cambiare ma ora
è il momento di cambiare le cose”.
Dopo Vasto hai scelto
Latina, avevi voglia di riavvicinarti a casa? “Non solo, Terracina dista una mezzoretta, sono vicino casa ma anche
per il blasone della piazza calda, che respira tanto calcio. Eravamo a tre
punti dai playoff, l’obiettivo era alla portata, stavamo bene, avremmo fatto di
tutto per raggiungerli ma purtroppo il Coronavirus ha chiuso ogni possibilità”.
Nella passata
stagione la scelta di accettare la chiamata della Vastese, all’inizio pensavi
che sarebbe stato così complicato? “Annata
assurda, la squadra c’era, forse eravamo risicati numericamente ma in ogni
reparto tra esperti e under c’era qualità. Il ritiro con mister Palladini era
filato liscio, si respirava una bella aria e la vittoria nel derby al pronti
via contro l’Avezzano mi faceva ben sperare, poi sono subito arrivate le prime
frenate”.
I tanti punti persi
all’Aragona nelle prime giornate interne, cosa mancava? “Proprio in quelle partite, eravamo sempre
avanti, alcune volte anche di due e venivamo subito ripresi. In alcuni momenti
il pallone doveva sparire dal campo e invece ci intestardivamo con giocate che
servivano a poco in quel momento, è mancata furbizia e intelligenza. Avessimo raccolto
più punti in quell’avvio magari ora staremmo qui a parlare di altro”.
Da Palladini a
Montani, si poteva fare di più in quel periodo? “L’impatto era stato più che positivo, ci eravamo ripresi con alcuni
risultati positivi, pensavamo di essere finalmente sulla strada giusta ma il
periodo felice è durato poco. Siamo andati di nuovo a picco e sono venute fuori
le solite difficoltà”.
Altro cambio nell’ultima
e decisiva fetta di stagione, quanto ha influito sulla salvezza l’impatto del
tecnico Papagni? “Gran parte dei
meriti sono i suoi, in poco tempo, insieme al vice De Simone, è riuscito a
trasmettere grande positività a tutto il gruppo. Impatto devastante a livello
empatico, grazie alla sua infinita esperienza ha saputo lavorare con le parole
giuste su ognuno di noi”.
Con lui sembrava
fatta dopo le tre vittorie consecutive, poi altre difficoltà, come mai? “Non abbiamo peccato di presunzione,
sapevamo che servivano altri due punti per chiudere ogni discorso per la
salvezza diretta ma la partita con il Cesena ci ha dato un’altra ‘botta’ a
livello mentale. Giocato alla pari contro una corazzata, eravamo avanti
meritatamente, volevamo regalare una grande gioia ai nostri tifosi ma quella
domenica siamo stati derubati. Due episodi clamorosi a nostro sfavore, anche il
punto ci avrebbe fatto comodo ma dopo quella prestazione uscire dal campo senza
punti ci ha di nuovo frenati”.
Bastava vincere in
casa del Castelfidardo già retrocesso ma anche in quell’infrasettimanale non
andò per il verso giusto? “Una conseguenza
della partita contro il Cesena, la testa fa tutto. Avessimo raccolto anche solo
un punto contro la capolista sono sicuro in casa dell’ultima avremmo vinto
senza problemi. Invece no, un’altra partita allucinante, ci siamo trovati a dover
rincorrere, alla fine potevamo anche vincerla ma ci siamo dovuti accontentare
di un punto dopo essere stati sotto di due gol”.
Sconfitta
pesantissima all’Aragona contro l’Avezzano e condanna ai playout definitiva
dopo la sconfitta nello scontro diretto di Agnone, temevate di retrocedere? “Dopo l’autogol di Agnone mi è caduto il
mondo addosso, al triplice fischio erano tanti i pensieri negativi che
scorrevano in testa, avevo la fascia al braccio e le responsabilità per la
maglia biancorossa erano aumentate. In quei momenti pensi subito al peggio,
eravamo a un bivio, il playout successivo era da vita o morte e sapevano che
non si poteva più sbagliare, le occasioni da sprecare erano finite”.
Una stagione in cui
non sono mancati confronti con i tifosi, sapevate di non poter regalar loro una
delusione troppo dura da digerire? “A
inizio stagione avevo avuto un confronto con un tifoso, a lui avevo detto che
in campo sono sempre abituato a dare il massimo, gli errori fanno parte dell’uomo
ma che avrei fatto di tutto per far cambiare idea, non solo a lui. Devo dire
che nella settimana che ci ha portato verso il playout i tifosi sono stati un
elemento fondamentale, ho sentito grande calore nei miei confronti ed è quello
che ho provato a trascinare al resto del gruppo, una parte di quella salvezza è
anche per merito loro”.
Dal 12 maggio del
2019 ad oggi, a un anno di distanza cosa ricordi di quella domenica? “I dentro o fuori lasciano spazio a poche
interpretazioni, noi sapevamo di avere due risultati su tre ma le tante
occasioni sprecate nelle ultime giornate di campionato non ci facevano stare
tranquilli. Non abbiamo mai sofferto, siamo sempre stati attenti e nel finale
grazie al rigore procurato da Stiva ci ha pensato Henri a completare l’opera. Una
liberazione dopo un’annata difficile, è stato bello ricevere a fine partita
anche l’abbraccio dei tifosi”.
Anche se durata solo un anno che esperienza è stata quella con la Vastese? “Conoscevo il valore della piazza, sapevo che prima o poi avrei indossato la maglia biancorossa. Sono contento di esserci riuscito, ho vissuto la città, ho conosciuto tante persone, sono ancora in contatto con diversi miei ex compagni ma mi sono trovato bene con tutti. Neanche nei momenti di difficoltà ci siamo sentiti abbandonati, la società ci è sempre stata vicina, a partire dal direttore Masciangelo il presidente Bolami focoso ma buono fino ad arrivare a Pietro Scafetta, una figura straordinaria, il calcio ha bisogno di persone come lui”.
Antonio Del Borrello – antoniodelborrello@vasport.it