L’allenatore calabrese
vive in Molise da vent’anni e oggi allena il Bojano. Ha indossato la maglia
biancorossa dal 2002 al 2004
Diciotto mesi. Intensi. Nella ventennale carriera di Carmelo Gioffrè da giocatore è lunga la lista dei campionati vinti ma quello con la Pro Vasto anche se arrivato dopo aver trionfato nel playoff e brindato al ripescaggio estivo può essere considerato a tutti gli effetti da aggiungere ai tanti primi posti conquistati in carriera.
Oggi, a distanza di sedici anni da quell’esperienza, a quarantotto anni continua a divertirsi nel calcio, da allenatore (ruolo che ricopre da dieci anni) ma sempre con i colori biancorossi, quelli del Bojano (Eccellenza molisana) dove vive con moglie e i tre figli maschi. All’Aragona arrivò nel novembre del 2002, chiudendo la prima stagione con il playoff perso a Tolentino. L’anno successivo il riscatto vincendo i playoff e battendo, ironia della sorte, proprio il Bojano.
Poche parole, tanti fatti in campo per uno che da giocatore
ha conosciuto la Serie B con la Reggina togliendosi poi tante belle
soddisfazioni tra C1 (oltre 50 presenze), C2 (una settentina) e qualcosa come
300 partite in Serie D.
Carmelo Gioffrè,
calcio e non solo in Italia fermo da un mese, da allenatore speri si possa
tornare a giocare in questa stagione o l’ipotesi oggi è lontana? “Basta per guardare le tante immagini che
circolano in questi giorni per renderci conto che in momenti come questi il
calcio deve passare in secondo piano. Ci sono ancora vite umane da salvare, poi
si penserà ad altro. Il calcio abbraccia le mie giornate da sempre, c’è ancora
una piccola, piccola speranza di tornare in campo per chiudere questa stagione
ma al momento la strada è in salita”.
Strada in salita e
secondo te pensando al futuro come potremmo ritrovare il calcio? “Dispiace dirlo ma più povero, soprattutto
per il dilettantismo. Il Coronavirus si sta già facendo sentire anche sull’economia,
una crisi che interessa tanti settori. Chi ha sempre dato una mano alle società
sportive ora dovrà farsi bene i conti, ecco perché c’è un elevato rischio che
diverse società non ripartiranno, un vero peccato”.
Alla guida del
Bojano, oltre a viverci perché hai sposato il loro progetto? “Guardiamo il calcio allo stesso modo ma
soprattutto parliamo di una società sana. Alla base c’è la crescita dei giovani
del territorio, fino allo stop eravamo in zona playout in piena corsa per la
salvezza ma giocando per scelta con almeno sei, se non sette under, a domenica.
Da quando ho deciso di allenare mi è sempre piaciuto lavorare con i giovani e
provare a trasmettere loro i miei insegnamenti”.
Prima da allenatore e
oggi da allenatore, il calcio lo vivi allo stesso modo? “Non mi riesco a vedere lontano da questo
mondo nonostante siano cambiate tante dinamiche, alcune stravolte. Però lo vivo
con la stessa passione di sempre, sono legato ad alcune tradizioni cercando
sempre di tenermi aggiornato. Ho sempre una voglia matta di fare bene”.
Dall’oggi al passato
con la Pro Vasto, nel novembre 2002 cosa ti ha spinto a dire sì alla chiamata
biancorossa? “Parlavamo di Vasto, una
piazza sempre ambita per qualunque giocatore in quegli anni. L’avevo affrontata
da avversario e l’Aragona mi aveva sempre fatto una grande impressione, un
ambiente da altre categorie”.
In quella stagione
come andò? “A novembre di quell’anno
oltre me cambiò faccia la Pro Vasto, ci fu una vera e propria rivoluzione. Arrivai
che eravamo penultimi ma riuscimmo a fare una grande rimonta fino al terzo
posto. Peccato la sconfitta nel playoff a Tolentino, fu l’unico grande
rammarico di quella stagione”.
In quegli anni con
Zoran Antic formaste una super coppia difensiva, nei giorni scorsi ci ha detto
che oltre la grinta voi due avevate ben altro, confermi? “Grande Zoran, con lui ci completavamo alla
perfezione, lui forte fisicamente e più ruvido, io meglio nell’anticipo e in
rapidità. Bella intesa, ci confermammo anche con la Val di Sangro qualche anno
dopo in coppia”.
Una doppia esperienza
che ti ha visto condividere tanti episodi con mister Vincenzo Cosco, ti ha
lasciato qualcosa? “Un uomo immenso,
non solo calcisticamente parlando. Da allenatore l’ho avuto anche a Bojano,
Termoli e Isernia oltre alle due esperienze abruzzesi, ci siamo sempre capiti
alla perfezione, avevamo un grande feeling perché intendevamo il calcio alla
stessa modo”.
Con lui anche nella
stagione 2003/2004 a Vasto, vincendo questa volta il playoff, nei giorni scorsi
alcuni tuoi ex compagni hanno raccontato la solidità di quel gruppo, cosa vuoi
aggiungere? “Per vincere bisogna
essere uniti, altrimenti non si va da nessuna parte. Ci si allenava e poi si
scendeva in campo tutti per giocare per la maglia anche se non eravamo di Vasto
ma sentivamo forte quel desiderio. Questo senso di vastesità, se così vogliamo
chiamarlo, ci è stato trasmesso in quei mesi dai vastesi Mario Lemme e ‘Fiore’
D’Ainzara, insieme a loro voglio aggiungere anche ‘Fru Fru’ Fruguglietti, sono
stati tre compagni fondamentali in quella stagione e mezza”.
Un anno e mezzo denso di tanti ricordi, a distanza di sedici anni la Pro Vasto cosa rappresenta per te? “Ricordi bellissimi, esperienza stupenda. Almeno nelle mie stagioni ricordo ogni domenica un’Aragona da brividi, ecco, noi avevamo quella voglia forte di battagliare ogni domenica perché rispecchiavamo lo stesso carattere di una piazza che tanto ci ha aiutato. Nessuno mollava, si lottava sempre, dal primo all’ultimo minuto”.
Antonio Del Borrello – antoniodelborrello@vasport.it