L’attuale direttore tecnico del Cupello nel giorno del suo onomastico e la festa del papà racconta com’è stato il rapporto con suo figlio nei due ruoli
Padre e figlio, allenatore uno, giocatore prima e presidente poi l’altro. Fianco a fianco nei successi della vita, in quelli lavorativi e fino alla scorsa stagione anche nello sport non solo a Cupello, oggi per Giuseppe Di Francesco, è festa doppia, onomastico e festa del papà. Tre figlie, le donne Angela e Fabiola insieme a Oreste quello che sul fronte sportivo lo ho avuto prima come giocatore e poi da presidente. Capita nello sport di trovare papà presidente e figlio allenatore, a Cupello per tre stagioni c’è stata l’inversione, ma con i Di Francesco al timone sono sempre arrivate belle soddisfazioni.
Giuseppe Di Francesco nel porgerle gli auguri per un buon onomastico vorremmo ripercorrere gli anni sportivi che ha trascorso con suo figlio Oreste, da giocatore prima e soprattutto poi da presidente, —? “Da allenatore-giocatore credo che in tanti sport ce ne siano tanti di incroci di questo tipo mentre fatico a trovare in giro realtà che hanno annoverato un figlio presidente con un papà allenatore, io l’ho provato sulla mia pelle e posso dire che è stata una splendida fortuna, un rapporto particolare che pochi possono vivere nel nostro ambiente, non nascondo però che al tempo stesso sono stati anni in cui problematiche e incomprensioni sono stati il sale per mantenere sempre ben saldo il nostro rapporto”.
Riavvolgendo il nastro con suo figlio calciatore e lei in panchina qual è l’episodio che può raccontare al meglio il vostro rapporto? “Eravamo tutti e due a Scerni nell’anno in cui centrammo la promozione in Prima, Oreste lì era voluto bene da tutti, nel corso della partita lo richiamai più volte per alcune situazioni a mio avviso errate e lui alla fine esasperato mi mandò a quel paese, ci sta, in quei momenti non si è padre e figlio, un comportamento naturale, finì tutto al fischio finale dell’arbitro”.
Poi vi siete ritrovati nel post fusione a Cupello, tre stagioni in Eccellenza, lei ancora in panchina e suo figlio questa volta seduto sulla poltrona presidenziale? “Chi ci vedeva da fuori forse mai si è immaginato che in realtà tra noi è stato un rapporto con continui confronti, a Oreste l’ho detto fino a stamattina, nella vita se tra le parti non c’è confronto si perde tutto, bisogna essere sempre vivi e vigili, lui da presidente non è mai entrato nelle dinamiche tattiche, su quelle gestionali si ed era lì che discutevamo spesso, lui non va mai allo scontro, non è impulsivo e cerca sempre la strada giusta per mediare, in alcune situazioni coccolava troppo i suoi giocatori e io non sempre l’accettavo, per noi non era facile conciliare i due ruoli ma Oreste ha avuto sempre grande intelligenza e la mia stima non è mai venuta meno”.
Suo figlio lo ha allenato in prima squadra ma nel corso della sua carriera da allenatore prima e supervisore ora ha gestito tanti ragazzi in giovanissima età, sono tante le ore che si panno sui rettangoli di gioco, può un allenatore sostituirsi a un padre? “Il calcio mi è sempre piaciuto perché educa e forma gli uomini del domani liberandoli ma dobbiamo ricordarci che è un mezzo, l’allenatore in questo mondo è una figura importante ma resta sempre un supporto al ruolo dei genitori, dobbiamo anche aiutarli ma guai a sostituire i ruoli, così deve essere anche dall’altra parte, gli allenatori sono presenze fondamentali nella crescita ma i genitori non devono mai abbandonare i loro figli, il calcio non è un parcheggio”.
Antonio Del Borrello – antoniodelborrello@vasport.it