La nostra intervista alla Dottoressa Margherita Sassi, responsabile del Centro di Psicologia dello Sport di Pescara
Lockdown, smart working, distanziamento sociale, ffp2, quarantena, in questo 2020 a dir poco straordinariamente fuori dal normale siamo venuti a contatto con termini che non avremmo mai immaginato di pronunciare. Nell’anno del Covid-19 siamo stati costretti ad abbandonare alcune delle nostre abitudini, siamo stati invitati a limitare le interazioni sociali, obbligati a muoverci solamente vicino casa oppure forzati ad un rientro non tardivo nel proprio domicilio, sono mutati numerosi aspetti della nostra vita quotidiana, e di questo ne hanno risentito anche i più giovani, privati soprattutto dello sport.
Nella ricerca di un punto di vista emotivo e di carattere psicologico alla impossibilità, specialmente dei più piccoli, di praticare attività fisica, abbiamo intervistato la Dottoressa Margherita Sassi, responsabile del Centro di Psicologia dello Sport di Pescara.
Cosa significa per i più piccoli non poter vivere un momento che non è solamente attività fisica ma anche occasione per socializzare, per crescere?
“Indubbiamente lo sport favorisce la crescita dei giovani e, infatti, negli ultimi vent’anni, anche grazie al contributo delle neuroscienze, abbiamo affinato il settore di studio. Oggi siamo in grado di comprendere come lo sport non sia solamente un momento di sfogo, ma un’attività complessa alla base dell’apprendimento e della formazione dell’individuo. In questo momento storico, il ridimensionamento dell’attività fisica è un sacrificio rilevante per i giovani, sia bambini che adolescenti, perché lo sport va inteso come una possibilità di stare bene, fisicamente e mentalmente”
Lo sport veicola emozioni, l’impossibilità di scaricarle comporta disagio nei più piccoli?
“Il coronavirus sta creando situazioni di stress importanti con effetti a medio e lungo termine che andranno sicuramente attenzionati. Fare del movimento in maniera sostenibile è un modo per proteggere il proprio benessere e la qualità della propria vita. Se parliamo di giovani, l’attività ludico-motoria e la collaborazione con un gruppo squadra sono opportunità essenziali nella gestione dello stress e delle emozioni. Il confronto diretto con i compagni è fondamentale per affrontare i diversi aspetti della propria vita e purtroppo in questo momento i ragazzi sono spesso costretti a cercare soluzioni alle loro problematiche tramite il web. Chi fino ad oggi ha lavorato sull’autonomia del giovane, sia in campo che fuori, si sarà accorto che insistendo su questa capacità i risultati arrivano come conseguenza naturale, e ci si trova pronti a qualsiasi livello, non solo quello sportivo”
Questo blocco ferma lo sport come lo intendiamo tutti i giorni, allenamenti e partite o gare, ma non impedisce a chi vuole di organizzarsi personalmente per fare attività, che consigli può dare?
“Dare consigli generalizzati credo serva a poco e si rischia di sbagliare, ognuno ha le proprie risorse per abbracciare alcune soluzioni e non altre. Io penso che sia necessario utilizzare tutte le maniere a noi disponibili per incentivare l’attività fisica. Come dicevo, lo sport va inteso come possibilità di stare bene, lo sport è anzitutto salute. Le scuole, anche attraverso la DAD (didattica a distanza), possono far arrivare il messaggio che mettersi in moto è fondamentale. Risulta necessario guardare lo sport in maniera più ampia comprendendo, ad esempio, che una passeggiata all’aria aperta rappresenta un’abitudine valida tanto quanto l’allenamento su un campo di gioco. Le famiglie in questo senso hanno la possibilità e la responsabilità di assumere comportamenti coerenti con uno stile di vita attivo. Credo debba esserci una disponibilità collettiva di credere nello sport in quanto salute e non possiamo farci scappare questa opportunità per fare un salto culturale”
Spesse volte avete collaborato con le scuole, visti i protocolli rigidi penso sia difficile per voi poter tornare a proporre quelle attività, su cosa state lavorando in questo momento?
“Tra agosto e settembre siamo stati impegnati nell’inoltrare 12 progetti sport-scuola ai licei sportivi tra Abruzzo e Marche, purtroppo i protocolli ci impediscono di portare avanti questo tipo di lavoro che ci ha regalato grandi soddisfazioni nel passato. Nel frattempo lavoriamo con il singolo, con le squadre, ma anche con i genitori sul piano della formazione e dell’allenamento mentale. Personalmente sono anche riuscita a ritagliarmi dello spazio per scrivere un romanzo sportivo”