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Calcio

Marco Testa: “Con la Pro Vasto dal sogno all’incubo. Rende e Celano? Meritavamo sempre noi”

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64 presenze in C2 con i biancorossi sfiorando la C1 e inciampando nella sfortunata domenica di Celano

Un’impresa sfiorata e un dramma sportivo toccato, a malincuore, con mano. In mezzo però oltre sessanta partite con addosso la maglia di quella che, per sua stessa ammissione, “è tra le esperienze più belle vissute da calciatore”.

Marco Testa di anni oggi ne ha 36 (uno lo aggiungerà tra un paio di mesi), scarpette al chiodo, appese da un po’, a causa di un brutto infortunio al tendine d’Achille al tramonto della carriera ma oltre Vasto può vantare una carriera importante. Romano di Fiumicino oggi vive a Viterbo (dove ha anche giocato) ma da giovane dopo aver salutato il Lazio è cresciuto nel Lecce riuscendo ad esordire anche in Serie A nella sfida interna giocata, nel 2002 contro il Chievo Verona di Gigi Del Neri. Da lì in avanti tante esperienze in giro per l’Italia raccogliendo oltre 200 presenze tra C1 e C2 oltre un centinaio in D. Ovunque lo ricordano per la sua duttilità, anche all’Aragona dove con la maglia della Pro Vasto dal 2005 al 2007 lo hanno ammirato da mezz’ala, laterale destro e all’occorrenza anche terzino su entrambe le fasce. Protagonista nella prima stagione dove i biancorossi al termine di una splendida stagione sfiorarono la finalissima per giocarsi il salto in C1 e in campo anche nel playout perso a Celano che condannò i vastesi alla retrocessione in D.

Marco Testa, l’esperienza con la Pro Vasto ormai lontana tredici anni, in quegli anni sempre titolare, cosa ricordi di allora? “Soprattutto nella prima stagione mi sono divertito tantissimo, dentro e fuori dal campo. L’anno dopo meno, ecco perché è una storia dai due volti ma quel periodo è stato uno dei più belli e intensi della mia vita da calciatore”.

Partiamo dai ricordi dolci, 2005/2006, partenza con il freno a mano tirato, poi la svolta? “Anche all’inizio non è che con Anzivino stessimo andando poi così male, ci era stata chiesta la salvezza, non eravamo da buttare affatto ma non riuscivamo mai a cambiare il passo, quello arrivato quando in panchina sedette Pierini”.

Quali tasti seppe toccare il nuovo allenatore per tirare fuori il meglio da ognuno di voi? “Un grande carattere con tanto carisma senza però dimenticare un preparatore atletico di spessore come Pescosolido. Partimmo subito con due vittorie consecutive, tra di noi si creò una grande sinergia e pian piano diventammo difficili da battere. In campo sempre compatti, avevamo un’impostazione precisa, tutti sapevano cosa fare”.

Partito mezzala hai quasi sempre giocato come laterale atipico, eravate una macchina quasi perfetta? “Lo siamo diventati con grande sacrificio, sembravamo la Lazio di Eriksson. Io esterno più da copertura, dall’altra parte il mio grande amico Tonino D’Allocco più offensivo e davanti avevamo un punto di riferimento come Morante, sprecato per la C2. Alle sue spalle gente come Schettino, Esposito, Biagianti e Cazzola sempre pronti ad inserirsi”.

Partiti per la salvezza avevate raggiunto l’obiettivo reale in largo anticipo, quando avete capito che era possibile alzare l’asticella? “Noi dopo Pasqua festeggiammo il primo obiettivo grazie a un pazzesco girone di ritorno con una media punti da primo posto. Sfruttammo la quota playoff più bassa rispetto alle solite stagioni ma ogni domenica ci sentivamo sempre più forti con il grande calore da parte di una piazza che non ci ha mai fatti sentire soli. Tosti in trasferta e perfetti in casa, così raggiungemmo i playoff”.

L’eliminazione nella semifinale playoff contro il Rende reso meno felice quella stagione? “Non scherziamo, quel playoff per noi è stato il raggiungimento di un sogno. Vi dirò di più, analizzando i centottanta minuti contro i calabresi l’accesso alla finale l’avremmo meritato noi e non solo per il rigore sbagliato a Rende. Il Taranto sperava nella nostra eliminazione perché ci temeva qualora li avessimo dovuti affrontare in finale”.

Con i se e con i ma non si scrive la storia ma i pugliesi quell’anno erano davvero così forti? “Sì ma in una finale playoff può succedere sempre di tutto anche perché noi nella stagione regolare contro il Taranto pareggiamo sia all’andata che al ritorno con un gran bello 0 a 0 in casa loro a conferma della nostra solidità”.

Una compattezza costruita anche fuori dal campo? “Senza quella non saremmo andati da nessuna parte. Eravamo un gruppo giovane con quei quattro/cinque esperti che ci hanno sempre saputo indicare la via. Uniti alla grande anche nella vita di tutti i giorni, i pranzi e le cene sempre assieme, le passeggiate a Vasto Marina dove vivevamo quasi tutti, è stata una stagione fantastica”.

Meno quella successiva, che ricordi affiorano del 2006/2007? “L’altro lato della medaglia, partita male e finita peggio. L’aver sfiorato la promozione qualche mese prima aveva alzato le aspettative su un gruppo che già durante il ritiro non viveva con la giusta spensieratezza soprattutto per le tanti voci di mercato. In una squadra tutto deve girare al meglio, devono esserci i leader pronti a tracciare il sentiero, il portiere che para e l’attaccante che fa gol. Noi a fine estate salutammo Morante e Marconato, quest’ultimo fondamentale non solo tra i pali ma anche nello spogliatoio. A gennaio andò via Biagianti, e poi il grave infortunio capitato a Di Meo complicò ulteriormente i piani”.

Chi era Di Meo da compagno di squadra? “Mamma mia che spettacolo Pinuccio. Ci siamo persi un po’ di vista ma resta uno di quei grandi amici nel mondo del calcio. Pino era un leader, con i giovani aveva un modo particolare, non ti dava tempo di capire come muoverti, dovevi subito farti trovare pronto. Con noi giovani di quegli anni però era diverso, aiutò tantissimo me, Biagianti, Cazzola e gli altri, fu fondamentale per la nostra maturazione. Quella era una C2 tosta, in campo si gioca sempre undici contro undici ma noi eravamo giovani chiamati ad affrontare trasferte belle toste come quelle di Catanzaro, Potenza, Modica e Vittoria. Beh, posso dirvi che avere uno come Di Meo che scendeva per primo dal pullman era tutt’altra storia. Ecco perché ho detto che il suo infortunio nell’anno della retrocessione pesò tantissimo, la sua assenze pesò non solo in campo”.

Annata tra alti e bassi fino al dramma di Celano, era una retrocessione che si poteva evitare? “Pur provandoci la società cessioni eccellenti e i pesanti infortuni non era riuscita a rimpiazzarli al meglio. Nonostante le tanti difficoltà ci eravamo andati vicinissimi e anche in quel playout la salvezza l’avremmo meritata noi. A conferma del valore di quella C2 ricordo che il Celano in attacco aveva gente come Luiso e Ciofani. Dopo il pari all’Aragona andammo sotto al ritorno ma con Ciano e Mignogna riuscimmo a ribaltarla. Eravamo salvi, ricordo una palla giocata male in attacco, dovevamo prenderci la bandierina ma concludemmo in porta. Da lì il Celano ha costruito l’azione che ci ha poi condannati all’amarissima retrocessione”.

Da Vasto poi ad Olbia ritrovando alcuni compagni di quell’esperienza? “Ho ritrovato in panchina Puccica con cui avevamo iniziato l’anno della retrocessione e in campo anche con Cazzola e D’Allocco. Fui io a caldeggiare fortemente il suo ingaggio, il mister non lo aveva mai allenato ma ero straconvinto del valore di Tonino”.

A distanza di anni in qualche modo sei ancora legato a Vasto? “Ripeto, è stata una bellissima esperienza, ancora oggi sono in contatto con tanti vastesi. Ho Vasto Marina nel cuore, che spettacolo viverla da primavera fino al termine della stagione, in quegli anni era un paradiso. Ricordo con grande affetto il presidente Crisci, insieme al resto della dirigenza non ci fece mai mancare nulla. Quando nel 2013 sono tornato in zona per giocare a Termoli ho preso casa di nuovo a Vasto Marina”.

Se ripensi alla tua carriera ti senti soddisfatto? “Mi sono divertito parecchio, sono stati anni bellissimi anche se oltre quello con la Pro Vasto ho perso altri due playoff con la maglia dell’Olbia e poi a San Marino nell’anno in cui sono tornato all’Aragona da avversario. Fossero andate in modo diverso con qualche promozione mi sarei potuto togliere qualche altra soddisfazione”.

Se dovessi rientrare nel calcio ti piacerebbe farlo da allenatore o dirigente? “Parliamo di un mondo cambiato di parecchio rispetto a quello vissuto da me come giocatore. Non nego che ritrovarlo mi piacerebbe, non da capo allenatore ma in uno staff sì. Da dirigente non so ma se dovesse esserci la possibilità prenderei ad esempio proprio la stagione della Pro Vasto nel 2005/2006, quella è la vera idea di squadra vincente, a 360°, dentro e fuori dal campo”.

Antonio Del Borrello – antoniodelborrello@vasport.it

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